Fonte: http://www.architetturaecosostenibile.it

Quaderni di pietra anziché carta che resistono all’acqua e allo strappo e sono facili da smaltire. E’ il 1963 quando la Heineken crea il primo esempio di upcycling producendo le Wobo: bottiglie di birra che, una volta usate, possano servire come mattoni da costruzione. L’idea, opera del fondatore della casa e di un architetto, prende forma quando i due vedono una vasta quantità di vuoti di bottiglia seminate sulle spiagge caraibiche, luogo dove c’è carenza di materiali da costruzione. L’idea geniale purtroppo non ha successo, e le bottiglie diventano così semplici suppellettili.

Nel 1973, dopo 10 anni, gli architetti e teorici Charles Jencks and Nathan Silver coniano il termine “adhocism”, con il quale si indica un nuovo modo di progettare che vuole essere di rottura con il tradizionale mondo fatto di burocrazia, gerarchia e specializzazione del settore. In controtendenza si auspica immediatezza dell’atto creativo, che tende a rispondere in modo immediato ed istintivo ad un bisogno (ad hoc, appunto). Usando le loro stesse parole “si tratta divedere le cose che ci circondano in modo diverso, in modo da dare agli oggetti e alle materie che ci circondano da sempre, ruoli e significati diversi da quelli con i quali siamo abituti a vederli”.

E’ passato molto tempo da allora , ma il dibattito è ancora molto attuale.Ormai diffusa ed affermata la cultura del riciclo, diventa adesso indispensabile fare un ulteriore passo in avanti e ispirarsi al nuovo concetto di Cradle to Cradle, secondo il quale si tende ad eliminare a priori il concetto di rifiuto. Il prodotto è definito sostenibile solo quando viene provata la sua completa efficacia nel tempo oltre che la sua efficienza legata ad una fase della sua vita. Con l’up cycling si riusano delle materie prime per ottenerne qualcos’altro, molto probabilmente di qualità superiore.

Un prodotto innovativo che lascia spazio alla creatività per nuove potenziali applicazioni è un nuovo tipo di quaderno, già in commercio nelle comuni cartolerie spagnole, realizzato con carta derivante dalla roccia piuttosto che dalla cellulosa e che per questa viene chiamata provocatoriamente carta di pietra. Essa non richiede l’uso di acqua o di cloro per la produzione equando brucia produce solo il 50% di CO2 rispetto agli incendi provocati dalla carta da cellulosa. Stampa meravigliosamente bene con tutte le più comuni stampanti e dà ottimi risultati sia con inchiostri normali che con quelli biologici, come quello a base di soia.

I suoi componenti principali sono le polveri minerali per l’80% (Carbonato di Calcio) e le resine naturali per il 20%. Non è paragonabile alla carta sintetica, la quale presenta un’alta concentrazione di resine non naturali, e risulta più compatibile con l’ambiente rispetto alla carta di cellulosa riciclata, in quanto molto spesso i contenuti di scarto di quest’ultima non sono controllabili.

Ma la caratteristica che lascia davvero a bocca aperta è la sua resistenza allo strappo e la sua inalterabilità quando è a contatto con l’acqua, due punti, questi, vincenti rispetto a quelle che sono le qualità peggiori della carta tradizionale.

La carta di pietra potrà essere dismessa tranquillamente nei contenitori dei materiali plastici piuttosto che quelli per la carta, e, se lasciata esposta agli agenti atmosferici, impiegherà solo alcuni mesi per auto estinguersi e restituire all’ambiente le polveri di cui è composta.

Fonte : http://www.architetturaecosostenibile.it/materiali/innovativi/carta-pietra-nuovo-prodotto-eco-up-cycling-696.html

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