Una ricerca italiana spiegherebbe come alcune persone siano maggiormente immuni a contrarre questo virus che ogni anno colpisce più di 30 milioni di persone. L’AIDS, la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, dovuta alla diminuzione del numero di linfociti T derivante dall’infezione con virus HIV-1 o HIV-2, colpisce e miete milioni di vittime ogni anno, nonostante la continua ricerca degli scienziati di tutto il mondo di una cura efficace, o almeno capace di rallentare il decorso della malattia.
Lo studio, condotto dalla dottoressa Mara Biasin, immunologa del Dipartimento di scienze cliniche “Luigi Sacco” dell’Università degli Studi di Milano e Manuela Sironi dell’Irccs Medea, con il coordinamento di Mario Clerici della Statale meneghina e della Fondazione Don Gnocchi, chiarisce come il nostro DNA non ci renda totalmente immuni, ma più resistenti alla contrazione del virus.
La ricerca pare abbia definito come tra gli uomini esistano persone, definite soggetti Hesn (Hiv-esposti sieronegativi), che nonostante vengano ripetutamente esposte al virus non siero-convertono, cioè non diventano sieropositive e non mostrano segni di tipo clinico della malattia. Mentre nei soggetti esposti e risultanti sieronegativi, gli autori hanno identificato in laboratorio un recettore, Toll-Like receptor 3 (TLT3) molto più frequente. Questo recettore risulterebbe attivato da RNA a doppio filamento, un intermedio universale della replicazione virale, in particolare di Hiv. I dati indicano che la variante di Tlr3 presente nei soggetti esposti, sieronegativi, permette l’attivazione della risposta immune anti-Hiv che potrebbe impedire la replicazione del virus e quindi dell’infezione.